Il contributo pensato dal Governo per aumentare lo stipendio netto delle madri lavoratrici non sempre conviene: gli errori da non commettere.
Con l’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2024, il Governo timonato da Giorgia Meloni ha pensato ad un supporto per aiutare le madri con figli; questo, possibilmente favorendo le nascite in Italia. Un intento sicuramente meritevole di rispetto, se non fosse che c’è stata una sorta di ‘errore di comunicazione’, o per meglio dire, non sono state chiarite le conseguenze economiche di tale sgravio.
Dopo l’entrata effettiva della misura, è emerso che è necessario prestare attenzione e valutare con cura quanto effettivamente il bonus possa influire sulle proprie finanze. In alcuni casi, potrebbe addirittura non essere conveniente accettarlo e potrebbe essere meglio rinunciarvi.
Bonus Mamme 2024: attenzione a questi errori
Il bonus mamme è stato concepito come un’agevolazione fiscale, dove lo Stato si assume l’onere di pagare una parte dei contributi previdenziali altrimenti a carico delle lavoratrici. In altre parole, il governo copre una quota dei contributi che normalmente sarebbero pagati dalla lavoratrice stessa.
Tuttavia, questo meccanismo non sempre si traduce direttamente in un aumento del reddito in busta paga. L’aumento del netto, infatti, comporta anche un aumento dell’imponibile fiscale e, di conseguenza, dell’IRPEF da versare. Ma qui non si ferma: l’aumento del reddito influisce anche sull’ISEE, il che comporta una diminuzione dell’Assegno Unico, calcolato proprio in base all’ISEE.
Calcolare con precisione l’impatto complessivo diventa quindi complesso, poiché l’ISEE dipende da vari fattori. Nonostante ciò, le simulazioni sulla busta paga suggeriscono che il bonus mamme, sebbene garantisca un vantaggio immediato, potrebbe non essere così sostanzioso come ci si aspetta e comunica.
Un esempio pratico: per una lavoratrice con due figli e uno stipendio lordo mensile di 2.000 euro, l’esenzione contributiva di 64 euro si tradurrebbe in un aumento effettivo in busta paga di soli 49 euro, considerando un incremento di 15 euro dell’IRPEF. Per uno stipendio lordo di 3.000 euro, l’esenzione contributiva di 250 euro porterebbe a un aumento effettivo di 163 euro. In tutto questo va inoltre considerato l’effetto a fine anno sull’ISEE e sull’Assegno Unico, che potrebbero essere influenzati dall’incremento complessivo del reddito. Ma dunque, cosa conviene fare?
Dal punto di vista normativo, non è consentito rinunciare al cosiddetto ‘esonero madri’. Tuttavia, consultando le FAQ dell’INPS, emerge che l’istituto previdenziale consente l’applicazione del bonus su richiesta della lavoratrice. Da ciò si deduce la possibilità anche di revocare tale richiesta, o addirittura di non presentarla affatto al datore di lavoro.
In pratica, la risposta è piuttosto chiara: è fondamentale effettuare un’attenta valutazione economica prima di richiedere il bonus, magari con l’aiuto di un esperto. Se si constata che il bonus potrebbe comportare un aumento delle tasse e una diminuzione dell’assegno unico, allora è consigliabile non richiedere lo sgravio. In buona sostanza, il bonus non è automatico, ma va richiesto espressamente al datore di lavoro. Nel caso in cui i conti non tornino, basta semplicemente rinunciare a questo beneficio fiscale.